Continua l’inchiesta sulla morte di Michele Merlo su cui ci sono nuovi sviluppi
Siamo ancora scossi per la morte avvenuta il 6 giugno scorso del 28 enne Michele Merlo, cantante che ha partecipato a due dei talent musicali italiani più famosi del nostro Panorama: X-Factor e Amici.
La Procura di Bologna si è espressa a favore dell’ospedale che lo ha ricoverato quando era già in condizioni troppo critiche per l’emorragia celebrale sopraggiunta a causa della leucemia fulminante riscontrata in seguito. Però non finisce qui l’indagine, perchè tutto ora passa alla Procura di Vicenza, capoluogo del pronto soccorso di Cittadella dove Michele si era recato 10 giorni prima della morte. Il padre del cantante ha raccontato:
“Il 26 maggio Michele stava già male e si presentò al Pronto soccorso di Cittadella con dolori e uno strano ematoma alla gamba. Ma tre ore dopo il triage, era ancora in attesa. Così, scocciato, andò via. Da casa, spedì un’email allo studio del medico di famiglia di Rosà allegando la foto dell’ematoma, ma dallo studio associato lo richiamarono rimproverandolo per aver spedito l’immagine. Allora mio figlio si presentò di persona e fu ricevuto da qualcuno, quasi certamente non il suo medico, che si limitò a massaggiargli la gamba con una pomata”.
A questo punto l’inchiesta dovrà accertare la responsabilità del P.S. e del medico che non si è accorto che quello che aveva sulla gamba non era un semplice ematoma. I genitori chiedono solo giustizia per un figlio perso troppo giovane per conoscere il significato della parola morte.
Mi duole dirlo per via di una vita spezzata così presto, ma la famiglia sta cercando giustizia, come se fosse stato commesso un omicidio. Un brutto ematoma non è il sintomo esclusivo di una leucemia fulminante, ci possono essere decine di ragioni dietro, e in 10 giorni non si arriva ad una diagnosi… non viviamo in Dottor House.
Mi spiace dire anche questo: in pronto soccorso, per quanto sia sbagliato, i tempi sono lunghi, a volte lunghissimi, bisogna avere pazienza, tanta, rimanere lì, e aspettare che i medici facciano il proprio lavoro.