Intervista ad Elena Santarelli che racconta al settimanale ‘Chi’ la battaglia di Giacomo, la voglia di scrivere il libro ‘Una mamma lo sa’ per aiutare chi è ancora malato e quei momenti, in quel posticino speciale, che non potrà mai dimenticare: “Vorrei poter dire che dimenticherò tutto, in realtà è tutto vivo. Sa, c’è un punto vicino al Bambino Gesù, noi “mamme che lo sappiamo” lo chiamiamo il muro del pianto…”
Elena Santarelli è una di quelle che possono definirsi Mamma Coraggio. Cosa c’è di più atroce per una madre vedere il proprio figlio malato, provare la paura di non vederlo guarire, lottare con lui per dargli la forza necessaria a far fronte alle cure nel miglior modo possibile, e veder fluire quella forza giorno dopo giorno fuori dal tuo corpo, ma cercare di riafferarla ogni volta perchè quando capita a te forse qualche dubbio di non farcela ti viene, ma quando succede a tuo figlio non ci sono dubbi, incertezze, o paure troppo forti che possano farti desistere dall’abbandonare la speranza. Elena ce l’ha fatta, Giacomo il suo bimbo di 8 anni ce l’ha fatta ed oggi sta a lei fare qualcosa per aiutare chi sta ancora lottando con tutte le sue forze per farcela. Una delle cose a cui si è dedicata per aiutarli è scrivere il libro “Una mamma lo sa”, il cui ricavato sarà devoluto interamente in beneficenza al Progetto Heal. Ecco cosa racconta coraggiosamente a ‘Chi’:
D: Partiamo dalla prima pagina di questa storia.
Risposta. «Mio figlio ha avuto un tumore. Come il suo ci sono 400 casi l’anno in Italia. Io non mi sono palesata oggi dopo che la tempesta è finita, ma ho vissuto dentro quella maledetta tempesta. Potevo starmene a casa e tacere, ma ho scelto di esserci, di mettermi a disposizione, di parlare, di sensibilizzare il tutto per il progetto Heal (la onlus che finanzia la cura e la ricerca della neuro-oncologia pediatrica, ndr), per acquistare macchinari, per fare del bene.Chiaro!»
D. Con chi ce l’ha?
R. «Le spiego: ieri (20 ottobre, ndr) sono stata ospite di Mara Venier. Ho lasciato la mia famiglia, ho sottratto tempo ai miei affetti, ma l’ho fatto per promuovere il libro, per garantire un incasso che grazie alla pubblicità aiuterà qualcuno. Non vado in tv a fare la primadonna e questo, soprattutto le donne, o gli haters, lo devono capire. Tutti i miei proventi andranno alla onlus. Io non mollo!».
D. Elena, eppure questo è un momento di “sole e luce”.
R. «Lo so. Ma è più forte di me. Voglio che passi il bene e non il male. Devo calmarmi, altrimenti poi anche mio figlio s’arrabbia».
D. È vero che il libro nasce per merito di Giacomo?
R. «Sì. Io avevo mille dubbi se farlo o meno. Quando gli ho spiegato che però il ricavato sarebbe stato a scopo benefico, mi ha detto: “Mamma, tu fai sempre le cose per il bene. Ok, fallo. Ma lo voglio leggere!”».
D. E avete iniziato a leggerlo insieme?
R. «Sì. Ma non è facile. Scrivere i ricordi non mi ha fatto male. Rileggerli, mi ha fatto sentire tutto il dolore provato. E poi ci sono le sue mille domande. Ogni volta è un tocco di paura».
D. Le va di raccontarcelo…
R. «L’altra sera per la prima volta ha letto la parola cancro. Si è fermato e mi ha detto: “Mamma, ma hanno sbagliato. Io ho avuto il tumore, perché usano la parola cancro?”. Questo perché lui ha familiarizzato con la parola tumore. Assurda la vita, vero? Poi ha sorriso e abbiamo continuato a leggere. Mi creda, trattenere le lacrime in quel momento non è facile. No, non lo è».
D. Durante questo lungo periodo di buio quale immagine non dimenticherà mai?
R. «Vorrei poter dire che dimenticherò tutto, in realtà è tutto vivo. Sa, c’è un punto vicino al Bambino Gesù, noi “mamme che lo sappiamo” lo chiamiamo il muro del pianto. È lì che ci ritrovavamo o stavamo da sole, quando i nostri figli facevano la chemio o erano sotto terapia o sotto i ferri. Guardavo Roma e la vista era offuscata. Ci sono stati giorni in cui non riuscivo a mangiare. Credo di averlo fatto per cinque giorni di seguito, ma il punto su cui voglio riflettere è un altro: io ho pregato Dio per avere io, per prendermi il mostro che si “era preso” mio figlio. Mi sarei tagliata i capelli a zero per lui. La notte, quando la chemio ha iniziato a trasformare il suo cuoio capelluto, io di nascosto, con una piccola luce, andavo sul suo cuscino e toglievo e pulivo i suoi capelli che cascavano. E poi le attese dopo le operazioni, le persone, amiche, le bimbe, che hanno fatto compagnia a mio figlio durante questo periodo, ma che non ci sono più. Non c’è nulla che si può dimenticare».
D. Dopo tutto questo dolore perché gli haters le fanno male? Perché non se ne frega?
R. «Non riesco. Non posso permettere che chi non mi conosce stia lì a sentenziare stupidaggini su un qualcosa di devastante. Adesso una donna mi ha scritto: “Bisogna capire quando la sovraesposizione mediatica diventa troppa”. Ma dico io: secondo questa persona io lo farei per vanità, per pubblicità. Io non percepisco un euro e tutto quello che farò servirà, spero, a far vendere il libro per comprare macchinari per la neurochirurgia. Lo sto facendo per altri bambini, non per mio figlio. Uso la mia popolarità? Fatevene una ragione: lo faccio perché devo aiutare altre mamme!».
D. Elena, come ha fatto a far coincidere le due vite, quella di “mamma Elena” per Giacomo e quella di mamma di Greta e moglie di Bernardo.
R. «Da sola non ce l’avrei fatta. Bernardo è stato fantastico e Greta è stata l’altra parte felice di questa vicenda. Con lei riuscivo a dimenticare e a staccare un po’».
D. Quanti amici sono rimasti e quanti invece sono spariti durante questo lungo periodo.
R. «Chi ha avuto la forza e la resistenza di starmi accanto è ancora qui accanto a me. Quando è successo, quando hanno scoperto il tumore, noi eravamo in ospedale e non volevamo nessuno. Poi mi affacciavo dalla finestra e vedevo le persone a me care che aspettavano giù e rispettavano il nostro dolore. Non lo dimenticherò mai».
(Clicca sulle immagini qui sotto per ingrandirle!)
D. Come sta oggi Giacomo?
R. «In termini medici le dico che è in “Follow Up”. Va a scuola, gioca a paddle, mi fa arrabbiare quanto basta quando non studia, è curioso e fa mille domande e credo che nella sua testa ci sia la maturità di un bambino di trent’anni».
D. E lei come sta?
R. «Io? Esprimo un desiderio: voglio partire con lui e dire ciao a tutti; però aggiunga che non voglio dimenticare niente, niente, niente di questa storia!».
Quando succedono queste cose ci si sente veramente impotenti difronte alla vita.
Non sei più padrone di nulla, non ne sei più il pilota.
Si nasce, si cresce e tutto all’improvviso, senza che tu ne sia responsabile, cambia corso.
E’ bello leggere una storia andata a lieto fine, ma purtroppo non sempre ciò si verifica.
A qualsiasi età è straziante.
Guardare un cartone animato, litigare con la sorellina per chi deve cambiare canale alla tv, sbuffare alla mamma per la ramanzina che ci ha appena fatto, sognare un pallone di calcio mentre si tenta di fare i compiti…tutte attività che dovrebbero essere le sole a far parte della quotidianità di un bambino e, invece, molte volte si è assaliti da mostri reali che non fanno parte di un semplice videogioco.
Una bella iniziativa il devolvere l’intero ricavato per un qualcosa di concreto e tangibile.
Rispetto ai commenti degli haters, dico semplicemente che si è persa ogni forma di umanità, rispetto, tatto, empatia e delicatezza verso l’altro. Sono fautrice della libertà d’espressione, ma il web (e non solo) è popolato anche da gente che scrive senza logica e raziocinio. Mi dispiace, ma l’unico termine che mi viene in mente è (perdonate la schiettezza)…imbeci*** .
Tanta sostanza
L’ho vista oggi a la vita in diretta
Che bella persona che è!!
Le persone devono sempre vedere il marcio ovunque, siamo diventati troppo diffidenti e non riconosciamo più i buoni sentimenti e dove c’è reale sincerità.
Lei è un aiuto reale ,lei è stata in quella realtà , la conosce e sa che quei bimbi e quei medici meritano questo aiuto e tanto altro .
Sulla sua vicenda personale non si può fare altro che metter giù il cappello e ammirarla per come abbia tenuto unita la sua famiglia in una delle tempeste più crudeli che si possano affrontare.
L’ho comprato ma non ho ancora avuto il coraggio di leggerlo
Spero di riuscirci nel mentre ho di certo fatto assieme a lei una buona azione
Io mi emoziono tanto, non riesco ancora a leggerlo, ho troppi ricordi che mi “incatenano” ai miei dolori e la capisco, la capisco davvero tanto. Ho provato “da vicino sulla mia pelle ” questo senso d’impotenza contro il tumore ben 4 volte, la mia famiglia d’origine,in miei genitori e due fratelli, si, una famiglia che è stata decimata. Non sono riusciti a salvarli, ecco perché trovo giusto la ricerca, dare ad altri la speranza e la fortuna di guarire. Ecco perché è giusto aiutare la ricerca.
È passato un po’ di tempo, ora ho altro, ho una famiglia mia ma ancora non riesco a esser serena, mi sforzo ma non è facile e so che questo libro mi straziera’ il cuore e l’anima. Ma Elena è stata ed è una grandissima mamma e apprezzo il fatto che è riuscita a scrivere questo libro. Veramente una leonessa. Il suo libro è li, sul comodino, lo guardo e piango solo al pensiero, ma riuscirò a leggerlo.
Appena mi sentirò più forte, lo leggerò sono sicura che saprò farne tesoro.
Per quanto riguarda gli haters cosa ne penso? Sinceramente ? Sono persone superficiali, esseri non pensanti che criticano e accusano gli altri delle loro mancanza. Se pensano male degli altri è perché loro sono così, aridi, pieni di cattiverie, maldicenza e pochezza mentale